Correvano gli anni Sessanta. Mentre in Italia si assiste al "miracolo economico" e la Guerra del Vietnam è alle porte, l'America lotta (almeno una parte di essa) ancora con il suo lato più oscuro e meschino. Lotta che a tutt'oggi non si può dire del tutto vinta... e non solo in America.
È questo il clima in cui si svolge Green Book. Tratto da una storia vera, il titolo prende il nome da uno di quegli oggetti che oggi farebbe rabbrividire la maggioranza: un libretto verde che elencava alberghi e locali per afroamericani. Sì, perché ci troviamo nell'America, specialmente nel profondo Sud, è ancora piena di razzismo, odio, discriminazione e ipocrisia. In realtà il libro era ben visto dagli afroamericani in quanto permetteva loro di viaggiare essendo a conoscenza di quali potessero essere i luoghi per loro sicuri, in cui non avrebbero rischiato pestaggi.
Il protagonista, Don Shirley, è un pianista, il più bravo su piazza, che parte per una tournée proprio tra questi stati retrogradi. Un piccolo particolare: lui è afroamericano e a causa del colore della sua pelle non viene ritenuto degno di rispetto da quelle stesse persone che sono lì per apprezzare la sua arte. Perché lui è un genio del pianoforte ma "sceso dal palcoscenico è solo un nero" e come tale non ritenuto degno di mangiare allo stesso tavolo, di avere un camerino normale e neanche di usare lo stesso bagno. Che ipocrisia! Ad accompagnarlo nel suo viaggio poi, niente popò di meno che Tony Lip, un italoamericano (appartenente quindi ad un'altra tipologia di persone considerate inferiori) che ha a sua volta la mente piena di stereotipi e tende al razzismo, più perché "così è" che non perché lo pensi davvero. I due sono l'uno l'opposto dell'altro, infatti, ma lungo il viaggio li vedremo combattere insieme e donarsi coraggio a vicenda, superando ognuno i propri limiti mentali.
Una storia forte, quindi, ma a rendere il tutto ancora più intenso ci sono le grande prove attoriali di Viggo Mortensen e Mahershala Ali che rendono i loro personaggi ricchi di sfumature e contrasti costruendo un film non solo godibile e apprezzabile ma anche consigliabile.
Infatti, il tema trattato in realtà è molto più vicino di quanto si possa pensare. Da noi forse non ci sono cartelli che vietano l'accesso a una determinata razza in un locale come nel sud dell'America degli anni '60 (o ancor prima in Europa durante il regime nazista), ma lo spirito razzista è tutt'altro che scomparso. Dobbiamo esserne coscienti ogni volta che tendiamo ad accusare con più facilità una persona immigrata (in modo regolare o meno, questo non lo teniamo minimamente in considerazione) di un reato rispetto a un nostro connazionale, ogni volta che diciamo la famosa frase "ci rubano il lavoro" o "prima gli italiani" fino ad arrivare ai più tremendi "forza così, uno in meno". Chiediamoci se, come quei bianchi pagavano per veder suonare qualcuno con cui non volevano neanche condividere il bagno per sentirsi più colti, anche noi non stiamo solo cercando occasioni per sentirci migliori disprezzano gli altri.
Anche se molto polverone si é alzato su quanto sia stata romanzata la storia si Tony e Don Shirley, il punto non cambia: quanto c'è di quella ipocrisia intorno a noi? E quanto dentro di noi?
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