Mi sono abituata alla sua presenza, anzi no: sono ossessionata dalla sua presenza. Anzi no: sono ossessionata dalla sua assenza. Insomma, il fatto è che stamattina ho dovuto prendere il treno perché dovevo fare delle cose, e lui era a lavoro, e comunque sul treno sono riuscita a farmi venire un attacco d’ansia perché mi stavo allontanando dal luogo in cui cammina, parla, ride, mangia e dorme. Tutte quelle puttanate che gli ho detto sull’essere indipendenti me le rimangio. Mi rimangio anche quella lì, la più grossa, quella così carina da dire “non sei mio, e io non sono tua, le persone non si appartengono".
Ma vaffanculo, cretina.
Se non sei sua, di chi sei?
Se non è tuo,
se non è tuo?
E c'è tanto di quel vero qua dentro... E c'è tanto di quello che ho provato io proprio qui... Gli attacchi di panico in ogni momento della giornata, anche in quelli più stupidi. Le crisi di pianto nel bagno dell'ufficio. Il tilt in macchina con la mia amica che ti aveva incontrato "almeno mi sembrava lui, era con...". E la voglia di tornare indietro per rimangiarsi tutto, per non dire quelle cazzate assurde del "io non sono una cosa, non sono tua".
Ancora adesso il peso è enorme. Non è andato via del tutto. Quell'ossessione onnipresente di tutto quello che non avrei mai voluto ed invece è successo perché l'ho fatto accadere io.
Ci stiamo leccando le ferite a vicenda. Entrambi cercando di riacquistare fiducia, in me.
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