Avete mai visto un geco? Io sì, sfortunatamente! I gechi sono una famiglia di piccoli rettili (orribili) che vivono in ambienti caldi. La loro particolarità? La capacità di aderire ad ogni tipo di superficie. Le loro zampe, infatti, possono aderire a una grande varietà di superfici, senza la necessità di usare secrezioni adesive. Le piccole setole che si trovano nella parte inferiore delle (odiose) zampette, riescono ad interagire con le molecole delle superfici senza coinvolgere liquidi nè gas. Ogni zampa ha più di 14.000 setole per millimetro quadro, esse a loro volta si diramano in una serie di sottili estremità larghe solo 0,2 mircocentimetri (circa 2.000 volte meno di un nostro capello). Riescono per questo ad aderire a qualsiasi superfice (tranne il teflon).
Ma perchè sono qui a parlarvi ddi odiose zampe di animaletti schifosi? (non si offendano gli animalisti: anche io amo gli animali, ma questi sono proprio brutti!). Perchè questa caratteristica del geco di cui ho appena parlato centra in un certo modo con l'argomento di oggi.
Grazie a questa sua caratteristica, infatti, il geco può (fisicamente parlando) arrampicarsi sugli specchi!
E noi umani?
Se osservate bene la vostra mano, vi accorgerete che non c'è nessuna traccia di strane e magiche setole che riescano a farci appiccicare a nostro piacimento qui e lì. Perciò cercare di arrampicarsi su una superficie piatta e liscia come uno specchio è per noi, fisicamente, impossibile (tranne che tu non sia Tom Cruise in Mission Impossible).
Eppure c'è chi fa dell'arrampicarsi sugli specchi uno stile di vita, un allenamento costante. Diciamo che conosco personalmente alcuni che praticano questo sport dalla nascita tanto che ne vincerebbero le Olimpiadi con molta facilità.
Per quelle poche persone al mondo che non hanno mai sentito l'espressione "ti stai arrampicando sugli specchi", spieghiamo in brevissimo cosa significa. Questo modo di dire è usato per indicare che una persona sta cercando di giustificarsi utilizzando scusanti che non stanno né in cielo né in terra. Giustificazioni che, proprio come succederebbe a chi cercasse di affrontare in arrampicata uno specchio alto sei metri, fanno irreparabilmente cadere giù. Come tentando di risalire uno specchio su cui non ci sono appigli, queste scusanti inutili, insensate e a volte incredibili, non fanno che peggiorare la situazione.
E qui veniamo al punto. Perché certa gente insiste a volersi arrampicare sugli specchi? Perché ci sono persone che pur di non ammettere i propri errori, preferiscono negare fino alla morte? Perché non siamo mai pronti ad assumerci le nostre responsabilità?
Il termine "responsabilità" deriva dal latino respònsus, participio passato del verbo che equivale al nostro "rispondere". In un significato generale, quindi, implica l'impegnarsi a rispondere, a qualcun altro o a se stessi, delle proprie azioni (o di azioni in cui si ha preso parte) e delle conseguenze che ne derivano. "Responsabile" non significa "colpevole". Quando parliamo di persone che "devono prendersi le proprie responsabilità" raramente il nostro desiderio è quello di veder arrivare da noi la persona in questione che, col capo cosparso di cenere e vestita di sacco, si batte il petto piangendo e supplicandoci di perdonarlo. Suvvia, qualche volta il pensiero può sfiorarci, ma prendersi le proprie responsabilità implica ben altro. Vuol dire essere capaci di agire in maniera efficace. Si dice che una persona è responsabile se, prima di agire, cerca di prevedere le conseguenze delle sue azioni e correggerle di conseguenza. Questo non significa che una persona responsabile non sbaglierà mai, ma quando commette un errore non ci saranno alibi, scuse o giustificazioni che gli impediscano di agire per riparare a quanto fatto. E spesso per riparare basta una semplice ammissione di colpa (non scenografica come quella prima descritta) e una parolina che sembra star svanendo dal vocabolario: "Scusami".
Spesso, invece, ci ritroviamo (sì, mi ci metto anch'io in mezzo, perché tutti noi l'abbiamo fatto almeno una volta) a inventare balle su balle per tentare di giustificare ciò che abbiamo fatto. "Io l'ho fatto perché tu hai fatto questo", "Se tu non avessi fatto questa cosa io non avrei fatto quest'altra", "Io ho fatto questo, però tu hai fatto peggio" e altre cose di questo tipo sono tipiche frasi di chi cerca di arrampicarsi sugli specchi cercando di rovesciare su qualcun altro la colpa di ciò che non va oppure di far cadere l'attenzione su qualcosa di più grave che qualcun altro avrebbe commesso.
Mi sono soffermata a chiedermi il perché di questo. E la risposta, per quanto banale, è stata sempre la stessa. Abbiamo paura. Paura delle conseguenze, paura della punizione. Tutto inizia quando siamo bambini e combiniamo la prima marachella. Magari pitturiamo allegramente una parete credendo di fare una bella sorpresa a mamma che sarà tutta contenta della piccola opera d'arte creata dal suo marmocchio. E, invece, giù di legnate! Sì, non credete alla pubblicità in cui i genitori tornando a casa e trovando un gigantesco cuore disegnato con la vernice sulla parete vuota sono tutti sorridenti e il loro unico pensiero è che "le cose belle si fanno in due". Vi assicuro che in quel momento loro figlio, che in ogni altro istante della vita sarà il loro tesoro più grande, non è affatto una cosa bella, ma una piccola peste (e non certo di quelle simpatiche).
Dei genitori che sanno fare il loro "mestiere" e che non vogliono ritrovarsi con la casa ritinteggiata ad acquarello, sceglieranno insieme una punizione adatta al piccolo per insegnarli che quella cosa non va assolutamente fatta. Attenzione, prego! Non parlo certo di gravi punizioni corporali! Quelli non sono genitori, ma solo piccole caccole che andrebbero schiacciate ed eliminate dal pianeta. Parlo di "niente tv" oppure "niente pallone" o anche qualche scappellotto ("quando ci vogliono, sono meglio del pane" dicono dalle mie parti).
Fatto sta che il piccolo pittore capirà che ad una brutta azione conseguirà una punizione. E la punizione, pur essendo per il bene della sua educazione evita futura, non è piacevole per lui.
Cosa succederà quindi la prossima volta che combinerà una marachella e qualcuno lo scoprirà? Negherà, negherà e negherà ancora! Anche di fronte all'evidenza più spacciata.
E così continuerà a fare per tutta la sua vita. Anche quando in gioco non ci saranno più le uscite vietate del sabato sera, ma cose più sostanziose. Magari un'amicizia.
Non ci si rende conto che ammettendo l'errore e cercando insieme un modo per rimediare, le cose sono sempre migliori. Perché ad una giustificazione falsa, corrisponde una bugia che va a macchiare la fiducia. E si sa che la fiducia non riesce a smacchiarla nemmeno la nonnina dell'ACE.
E questo era il post in risposta alla domanda di Agata:
(Eh già, ho trovato il mio tormentone finale! Lasciarvi con un personaggio nella cui vita la data della scrittura del post ha avuto un qualche ruolo...)
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