Tra le letture di questo periodo ho infilato anche la lettura di Fuori e dentro il borgo, il primo libro di Ligabue. Dopo La neve se ne frega che ho adorato follemente, questo mi ha lasciato un po' spiazzata. Non è il mio genere, racconti brevi e troppo scollegati. "Probabilmente avrebbe fatto meglio a buttarle su musica" mi dicevo ...ma alla fine, Liga è sempre lui! Lui lo trova sempre il modo di prenderti l'anima e stracciarla.
"Il colore di tutto quello che lo attornia dipende strettamente dal modo in cui ognuno lo guarda" e questo qui è il dipinto del mondo con i colori del Lucianone. Un
fiume ininterrotto di parole che a tratti si fa oceano in tempesta, ti
spinge dentro vortici di personaggi strambi e quasi surreali, ti
trascina su un palco o dietro le quinte.
È strano come le emozioni
ti entrino dentro in modo così diretto, senza un motivo apparente. Ma
forse pensando che la mano scrittrice appartiene a Liga, non è poi così
impossibile come pare... Perciò non starò a spiegare perché dato che forse non lo so pienamente neanche io il motivo. Ma so che qualcosa in uno di questi racconti è rimasto intrappolato dentro le viscere... E allora lo lascio qui, nella speranza che possa far bene anche a qualcun altro...
Salve, come va? Ma lo sapete che, a proposito di andare, io e voi abbiamo un diverso modo di sentire quel verbo? Io non so cosa voglia dire. Comunque vi vedo farlo. Sto qua a immaginare le vostre storie mentre vi vedo parlare, ridere, imprecare. Finalmente soli, nelle vostre macchine. Vi vedo ripetere le cose che avreste voluto dire in occasioni che non torneranno. Oppure preparare il discorso per il prossimo appuntamento. Oppure desiderare la morte di uno che vi intralcia il passaggio. Oppure cantare. O telefonare. O fare i fighi sulla macchinina nuova. O sfiorarmi mentre cercate l'accendino. O affiancare tipe sanissime. O venire affiancati. Insomma avete un mondo e soprattutto delle gambe, dei motori, delle ruote a disposizione per girarlo. Io non ho neanche potuto scegliere il posto in cui sto da sempre. Mi hanno piantato poco oltre lo stop alla fine di via Don Minzoni. Sono un cartello a specchio. Vi dico quando passare. Non come un semaforo, però: la scelta è a vostra discrezione. Sia chiaro che non mi lamento, qui il traffico è buono. So, ad esempio, di un mio collega, un dare precedenza, in campagna, un po' esaurito: non gli passa più. Qui invece vi servo in ordine. Mi tengono bello. Mi ripitturano il palo spesso. Ancora di più mi puliscono lo specchio. E poi qualcuno di voi mi tocca. I ragazzini una volta si arrampicavano e mi smanacciavano il cartello. Uno, col pennarello mi ci scrisse: « Cosa ti specchi, stronzo? » Un rapper, invece, dipinse: « Ecco il tuo vero nemico! » Un idiota mi sparò un paio di colpi con non so cosa. Altri mi buttarono uova. Siete di tutti i gusti. A due scappò di fare l'amore contro di me. Non finirono: passò qualcuno. Passa sempre qualcuno. Ricordo molto bene la schiena di quella donna. Sapete, se avessi le mani potrei fare lo scrittore. Perché potrei raccontare con molta precisione la storia dei cinquanta metri attorno a me, case, alberi, strada. E voi. Voi che potete spostarvi se cani e gatti mirano a pisciarvi sulle gambe. Comunque mi è successo qualcosa di forte. Il cantante del borgo mi è arrivato addosso ieri sera. Chissà cosa aveva, questa zona la conosce benissimo. E invece è arrivato, sparato, e mi ha piegato. La sua macchina ce l'ho ancora contro. O forse farei meglio a dire attorno. Lui non si deve essere fatto granché perché è sceso, si è preso qualche secondo e poi, zoppicando, se ne deve essere andato a casa. Io, messo come sono adesso, vedo le cose da un'altra prospettiva. Non è una novità da poco. E poi mi sa che non riusciranno a raddrizzarmi. Quindi mi toglieranno e mi porteranno via. Saprò finalmente cosa vuol dire andare.
Commenti
Posta un commento