Più organizzi qualcosa, meno probabilità ci sono che vada tutto come tu vuoi. Ed io questo viaggio l'ho pianificato in maniera quasi maniacale. Risultato? Fin dal primo momento ho capito che nulla sarebbe stato come previsto. Ma per la prima volta non me ne è fregato nulla. Sì, è vero, svegliarmi con la notizia che Fiumicino aveva preso fuoco e perciò non sapevo che fine avrebbe fatto il volo mi ha fatto venire una crisi isterica durata più di tre ore e mi è dispiaciuto un po' non riuscire a visitare il Pantheon, ma chi se ne frega del Pantheon (con tutto il rispetto del caso, ovviamente) quando passo quattro giorni nella città eterna con la persona giusta accanto?
Tornando a casa ho pensato tanto. Troppo, come troppe volte capita. Ho pensato al mio viaggio, ma non a quello di quattro giorni nella città più bella del mondo, bensì a quello che sei costretto a fare quando girandoti intorno non capisci più dove sei, quello che ti porta sulla tua strada.
Il viaggio come metafora della vita, quella metafora che studi a scuola e che ti sfracassa le scatole quando la devi ripetere. E se Dante viaggia nel mondo ultraterreno salendo da luoghi di tortura a cieli di paradiso, c'è Ulisse che si perde (o viene costretto a perdersi) e deve affrontare sfide sempre più intense per tornare a casa. Il viaggio diventa quindi una prova di conoscenza, la sfida al confronto, la capacità di adattamento a situazioni imprevedibili. Salite: prove, ostacoli, esami. Discese: successi, ricompense, gioie. L'obiettivo si materializza all'improvviso dove non ti saresti mai aspettato, poi sguiscia via, scompare, diventa un miraggio irraggiungibile. Conoscere, scoprire, imparare, ricercare, guardare avanti, tutto per migliorarsi, per crescere, per andare avanti, per riconquistare se stessi. Che alla fine la meta è sempre quella: trovare l'equilibrio in sé stesso, riuscire a trovare il giusto rapporto dell'interdipendenza tra il passato, il presente ed il futuro, tra la patria natia, la società in cui si vive e la ricerca del nuovo.
Il viaggio come metafora di cambiamento, di situazioni inedite, di emozionanti scoperte, di incontri casuali. Durante i viaggi evadiamo dalla quotidianità. Cambiano le strade che percorri, gli edifici che visiti, le tradizioni che ti vengono presentate, i visi che incontri, il cibo che mangi, l'aria che respiri, il linguaggio che ascolti. Cambia il tuo modo di relazionarti con le cose, ti liberi delle catene che ti legano alla reputazione che hai o vorresti presso chi ti circonda, dal vicino di casa ai colleghi di lavoro. Fuoriesce quello che c'è di più intimo e nascosto nella tua personalità perché "tanto chi li incontra più".
Si dice che la persona che parte non è mai la stessa che torna a casa ed è la pura verità. Perché in viaggio assimili, capisci, soppesi. E cambi. Torni più libero, più sognatore, deciso a goderti ogni attimo, ancora ubriaco di quella libertà che hai goduto, che sia stato più o meno bello non conta.
Ma poi torna la routine e quella persona nuova rischia di perdersi, di afflosciarsi pian piano sotto il peso delle solite strade, dei soliti visi e del solito stress. E allora, che resta? Resta di trovare il viaggio in ogni giornata, di trovare il nuovo ovunque e di trovare sé stessi. Perché solo trovando te stesso potrai essere mai naufrago ma sempre turista nella tua vita.
Tornando a casa ho pensato tanto. Troppo, come troppe volte capita. Ho pensato al mio viaggio, ma non a quello di quattro giorni nella città più bella del mondo, bensì a quello che sei costretto a fare quando girandoti intorno non capisci più dove sei, quello che ti porta sulla tua strada.
Il viaggio come metafora della vita, quella metafora che studi a scuola e che ti sfracassa le scatole quando la devi ripetere. E se Dante viaggia nel mondo ultraterreno salendo da luoghi di tortura a cieli di paradiso, c'è Ulisse che si perde (o viene costretto a perdersi) e deve affrontare sfide sempre più intense per tornare a casa. Il viaggio diventa quindi una prova di conoscenza, la sfida al confronto, la capacità di adattamento a situazioni imprevedibili. Salite: prove, ostacoli, esami. Discese: successi, ricompense, gioie. L'obiettivo si materializza all'improvviso dove non ti saresti mai aspettato, poi sguiscia via, scompare, diventa un miraggio irraggiungibile. Conoscere, scoprire, imparare, ricercare, guardare avanti, tutto per migliorarsi, per crescere, per andare avanti, per riconquistare se stessi. Che alla fine la meta è sempre quella: trovare l'equilibrio in sé stesso, riuscire a trovare il giusto rapporto dell'interdipendenza tra il passato, il presente ed il futuro, tra la patria natia, la società in cui si vive e la ricerca del nuovo.
Il viaggio come metafora di cambiamento, di situazioni inedite, di emozionanti scoperte, di incontri casuali. Durante i viaggi evadiamo dalla quotidianità. Cambiano le strade che percorri, gli edifici che visiti, le tradizioni che ti vengono presentate, i visi che incontri, il cibo che mangi, l'aria che respiri, il linguaggio che ascolti. Cambia il tuo modo di relazionarti con le cose, ti liberi delle catene che ti legano alla reputazione che hai o vorresti presso chi ti circonda, dal vicino di casa ai colleghi di lavoro. Fuoriesce quello che c'è di più intimo e nascosto nella tua personalità perché "tanto chi li incontra più".
Si dice che la persona che parte non è mai la stessa che torna a casa ed è la pura verità. Perché in viaggio assimili, capisci, soppesi. E cambi. Torni più libero, più sognatore, deciso a goderti ogni attimo, ancora ubriaco di quella libertà che hai goduto, che sia stato più o meno bello non conta.
Ma poi torna la routine e quella persona nuova rischia di perdersi, di afflosciarsi pian piano sotto il peso delle solite strade, dei soliti visi e del solito stress. E allora, che resta? Resta di trovare il viaggio in ogni giornata, di trovare il nuovo ovunque e di trovare sé stessi. Perché solo trovando te stesso potrai essere mai naufrago ma sempre turista nella tua vita.
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