John Green
Hazel ha sedici anni, ma ha già alle spalle un vero miracolo: grazie a un farmaco sperimentale, la malattia che anni prima le hanno diagnosticato è ora in regressione. Un giorno il destino le fa incontrare Augustus, affascinante compagno di sventure che la travolge con la sua fame di vita, di passioni, di risate, e le dimostra che il mondo non si è fermato, insieme possono riacciuffarlo. Ma il tempo che hanno a disposizione è un miracolo, e in quanto tale andrà pagato.
Dal punto di vista letterario non può e non deve essere osannato come capolavoro. Ma si deve avere il cuore di pietra per non lasciarsi trasportare dalla commozione. Forse un po' troppo poco maturo il modo in cui viene affrontato un argomento tanto delicato, ma lo è intenzionalmente. Dopo tutto Hazel ha soli 16 anni e Gus solo uno in più. Affrontano la loro realtà da due punti di vista diametralmente opposti. Voler essere ricordato a tutti i costi contro l'accettazione dell'oblio. Ma nel profondo sono uniti da un pensiero comune: la paura delle cicatrici che possono lasciare (e lasceranno) sugli altri. Sicuramente surreale (lo stesso autore precisa di trattare malattia e cura in modo molto distante dalla realtà), forse può aiutare i ragazzi (e non solo) ad aprire la mentre verso la realtà che Hazel stessa inizialmente vuole negarsi: anche se si finirà con l'arrivare al (più o meno tragico e definitivo) capolinea non bisogna essere tanto spaventati da privarsi di vivere il proprio piccolo infinito.
"Non posso parlare della nostra storia d’amore, quindi vi parlerò di matematica. [...] Alcuni infiniti sono più grandi di altri infiniti. Ce l'ha insegnato uno scrittore che un tempo abbiamo amato. Ci sono giorni, e sono molti, in cui mi pesano le dimensioni della mia serie infinita. [...] Ma Gus, amore mio, non riesco a dirti quanto ti sono grata per il nostro piccolo infinito. Non lo cambierei con niente al mondo. Mi hai regalato un per sempre dentro un numero finito, e di questo ti sono grata."
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